Protezione Civile, intervista ad Agostino Miozzo, ex braccio destro di Bertolaso

 

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Fonte articolo: Alvise Losi,  LiberoQuotidiano.it

 

Dottor Agostino Miozzo, lei era il braccio destro di Guido Bertolaso in Protezione civile dal 2002 al 2010. Come direttore generale si occupava dell’ufficio dei volontari italiani, circa un milione di persone, ed era responsabile delle relazioni internazionali e degli interventi internazionali. Che idea si è fatto della situazione drammatica in centro Italia?
«Tecnicamente potremmo definire l’emergenza di questi giorni “la tempesta perfetta” perché ha visto la sovrapposizione di diversi eventi che hanno amplificato gli effetti delle singole emergenze. Un terremoto di magnitudo 5 non è di per sé catastrofico, anche se quattro scosse in un solo giorno sono un’eccezione. La neve alta due metri in quella zona è un evento relativamente “normale”, era già successo nel recente passato. Il punto è che se non si possono prevedere le scosse sismiche, si possono invece prevedere con discreta precisione le precipitazioni nevose. E i meteorologi ci informavano sin da domenica che sarebbe scesa quella quantità di neve».

Quindi ci sono stati errori di valutazione da parte della Protezione civile?
«Il compito dei tecnici della Protezione civile è disegnare gli scenari peggiori, perché in base a quelli si adottano le misure necessarie per proteggere la popolazione. A quel territorio fragile, già pesantemente colpito da eventi estremi come le scosse sismiche dei mesi passati, si doveva prestare una particolare attenzione e la mia sensazione è che questo non sia avvenuto nei modi necessari».

Dove la macchina non ha funzionato?
«Non si può non evidenziare che il sistema di Protezione civile si sia presenato in maniera diciamo fragile agli eventi, è come se sia stato colto di sorpresa dall’evoluzione degli eventi. Certamente qualcosa non ha funzionato: non c’erano gli strumenti necessari come le turbine, non c’erano gli spazzaneve, si è atteso troppo prima di iniziare la pulizia delle strade. Anche non considerando il singolo drammatico evento del rifugio di rigopiano, come è possibile che per giorni decine di migliaia di persone non abbiano avuto l’energia elettrica? Che numerose famiglie siano state isolate per giorni e non raggiungibili? Non vedo, ora, la responsabilità del singolo, ma di un sistema che ha dimostrato lacune. Oggi bisogna lavorare incessantemente e senza sosta per ripristinare le condizioni di normalità, ma domani sarà necessario capire dove la macchina si è inceppata».

Sta dicendo che il problema non è all’interno della Protezione civile ma a monte?
«È evidente che le modifiche normative volute dal presidente Mario Monti abbiano depotenziato l’intero sistema della Protezione civile e con questo il ruolo che spetterebbe al capo del dipartimento. Quando in conferenza stampa, dove si parla dell’emergenza in atto, vedi due persone, la domanda che ti fai è «chi comanda?». Ci dovrebbe essere una sola persona che rappresenta il sistema e decide. Ma in questo momento la gestione della crisi sembra essere affidata al capo della Protezione civile Fabrizio Curcio che lavora con il commissario straordinario Vasco Errani, i cui compiti paiono essere quelli di un commissario politico. La mia non è una critica alle persone di Curcio o Errani. Dico che la gestione dell’emergenza non è un tavolo di discussione politica, la gestione dell’emergenza non può essere configurata come una democrazia assembleare: non c’è democrazia nel governo delle emergenze. E ci deve essere una sola persona che prende decisioni, che comanda, per poi rispondere e dar conto delle decisioni prese, ed eventualmente pagare se ha sbagliato. Io ho forte perplessità su questo nuovo sistema».

Lei parla di decisione politica, ma a cosa si riferisce?
«Con la fine del mandato di Guido Bertolaso, la Protezione civile in Italia è stata depotenziata e fa oggi fatica a rispondere adeguatamente a situazioni di estrema emergenza. L’emergenza non può avere briglie burocratiche. Se si considerava necessario disporre di dieci o venti turbine il capo della Protezione civile avrebbe dovuto essere nelle condizioni di poterle comprare, affittare o persino requisire alle regioni del nord, per esempio, dove oggi non c’è una necessità immediata. Se le previsioni dicono che arriveranno due metri di neve, allora devi prepararti e portare i mezzi necessari dal nord o dal sud Italia, o magari richiederli dall’estero. Questo potere deve essere in mano al capo della Protezione civile».

Non pensa sia stata una normale conseguenza dopo gli scandali che hanno coinvolto Bertolaso?
«A prescindere dal fatto che i cosiddetti scandali imputabili alla Protezione civile nazionale, fino a prova contraria, sono stati evidenziati solo dai media ma non dalla magistratura, il punto è questo: anche se era per certi aspetti ammissibile colpire politicamente una persona, Bertolaso in questo caso, è stato grave distruggere con quella persona un sistema che comunque funzionava. La Protezione civile non era solo Bertolaso, era un patrimonio del Paese e della società civile, il risultato e la maturazione di un percorso di costruzione di un sistema iniziato con Giuseppe Zamberletti, proseguito con Franco Barberi, e consolidato con Bertolaso. Quelli erano capidipartimento che non avevano e non avrebbero mai accettato di operare con un commissario politico alle spalle».

Qualcuno potrebbe dire che lei sostenga questa tesi perché era il braccio destro di Bertolaso, ma che la Protezione civile stia funzionando.
«A me sembra invece che in questi giorni il sistema arranchi. Vede, nella gestione che segue la catastrofe sono dispiegate grandissime risorse, ed è importante sottolinearlo: abbiamo uomini e donne che fanno cose eroiche con grande dedizione. In questi momenti si vede che il sistema è ancora presente. La verità è che non dovremmo arrivare a questi livelli. È una bella fotografia questa Italia della solidarietà, ma la fotografia migliore sarebbe non vederla perché significherebbe che il sistema di prevenzione ha funzionato e non c’era bisogno degli Angeli della neve o del fango».

La Protezione civile italiana era considerata la migliore del mondo. Lo è ancora?
«Onestamente oggi non vedo molto attiva la Protezione civile a livello internazionale. Anche se ci sono molte attività in corso, non siamo più la miglior Protezione civile, il modello e l’esempio in Europa e nel mondo. Oggi non siamo più protagonisti, ma gregari. Non facciamo più le grandi operazioni che ci sono state in passato a livello internazionale. Siamo stati gli unici ad arrivare a Beslan, in Russia, portando aiuto. Siamo stati i primi ad arrivare a New Orleans. I primi sul luogo dello tsunami in sud-est asiatico. Il terremoto ad Haiti è stato l’apice del successo della nostra storia. Avevamo una dinamicità e un’autorevolezza nazionale e internazionale che oggi francamente non vedo più».

Proprio ad Haiti lei fu scelto da Catherine Ashton, l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, per guidare a Bruxelles l’ufficio che gestiva le emergenze, soprattutto politiche, occupandosi di primavere arabe, guerre in Africa centrale, Myanmar e Filippine. Poi a fine 2014, quando Ashton fu sostituita da Federica Mogherini, lei fu l’unico direttore generale a essere cambiato e rispedito in Italia. Pensa di aver pagato la sua vicinanza a Bertolaso?
«Preferisco non commentare».

Lei è stato un servitore dello Stato per oltre 30 anni, ma dal 1 gennaio ha deciso di lasciare il suo ruolo alla presidenza del Consiglio per entrare in Emergency, l’organizzazione di Gino Strada. Perché?
«Quando sono tornato in Italia nel 2015, dopo decenni di esperienza nel settore delle emergenze, il governo ha deciso che mi dovessi occupare di droga, in un ufficio con scarsi mezzi e senza possibilità di impatto sul tema delle tossicodipendenze. Dopo un anno e mezzo di lavoro poco soddisfacente ho accettato l’invito di Gino Strada a entrare in Emergency. Mi occuperò, fra le molte attività di Emergency, di seguire la campagna per l’abolizione della guerra, un obiettivo cui Emergency sta lavorando e che mi convince molto. Dalla caduta del muro di Berlino a oggi ho vissuto in prima persona tutte le cosiddette guerre umanitarie fatte per esportare i nostri modelli sociali e di democrazia e mi sono reso conto che tutte le guerre che abbiamo combattuto, nessuna esclusa, sono state fallimenti che hanno aggravato e mai risolto i gravi problemi che avevano generato i conflitti».

Qualcuno potrebbe obiettare che lei sia «scappato» perché non ha accettato che le posizioni di comando fossero affidate a persone più giovani.
«Vede, io credo che l’aspetto anagrafico debba essera valutato con molta prudenza in certi settori, lei ha mai visto un quarantenne ricoprire il ruolo di capo di Stato maggiore della Difesa? In certe professioni è proprio all’apice della carriera che raggiungi le migliori competenze. Io avrei potuto fare quello che fanno molti alla presidenza del Consiglio: godermi lo stipendio da dirigente generale dello Stato in attesa della pensione. A Emergency guadagno un terzo di quanto prendevo alla presidenza del Consiglio. È una libera scelta di vita quella che ho fatto, e non una scelta economica o una fuga, anche perché non ho voglia di chiudere la mia carriera ammuffendo chiuso in un ufficio».

 

Fonte articolo: Alvise Losi,  LiberoQuotidiano.it
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